
Dadirri è una delle “parole intraducibili” che rientra nel “The Positive Lexicography Project” di Tim Lomas, docente di Psicologia Positiva della University of East London.
Si tratta di una raccolta di parole intraducibili, che è nata quasi per caso mentre Lomas rifletteva sul significato profondo (e intraducibile, appunto) della parola finlandese “sisu”.
Sisu è un insieme di spavalderia e coraggio, di ferocia e tenacia, capacità di continuare a lottare quando la maggior parte della gente si sarebbe già ritirata, e di lottare con la volontà di vincere.
I finlandesi traducono sisu con “lo spirito finlandese”, ma è una parola molto più profonda (e anzi, se non lo hai fatto, ti consiglio di leggere l’omonimo libro per scaldare e alleggerire le tue serate tardo autunnali).
Dunque, ti dicevo di Dadirri, parola di origine aborigina che fa riferimento a un preciso stato d’animo che ti coglie quando sei in Natura, assorto e assorbito in un “altrove” che in realtà vive nel tuo cuore.
Potremmo approssimativamente dire che questa parola ha a che fare con il “dare voce alla primavera dentro di noi“.
È un metodo di cura, una pratica per superare traumi e dolore che combina la quieta contemplazione e l’ascolto profondo della Natura e del creato, la pace con sé stessi e con le altre creature.
Il tutto avviene nella piena coscienza della bellezza che ci circonda, in armonia con i ritmi della giornata, della natura, in sintonia con l’attimo.
Per questo motivo, dadirri è intimamente legato alle pratiche di bagno di foresta che sono esperienze di immersione in Natura, aprendo i sensi, lasciando che le suggestioni, la meraviglia e lo stupore che ci colgono, lavorino dentro di noi a livello profondo.
Meraviglia e stupore sono ingredienti necessari, oltre alla curiosità, per intraprendere un nuovo percorso di conoscenza.
Soffermarsi per osservare con attenzione è la prima operazione da fare quando ci si inoltra nel fitto di un bosco, durante un bagno di foresta, ed è il primo passo per imparare a vedere.
Questo richiede tempo e allenamento, ma poi finisce con il diventare una piacevole pratica di arricchimento e cura personale, alla scoperta del linguaggio multisensoriale di Natura.
Sì, perché la Natura parla lingue diverse, fatte di suoni, colori, forme, materiali, profumi.
Talvolta ci parla con il silenzio, basti pensare alla quiete di un laghetto notturno nel quale si riflette una falce di luna, altre con il fragore di un violento temporale.
La Natura è un’artista che dipinge cieli multicolori, segni sulle pietre e sulla pelle degli animali, scrive sulla sabbia, scava la roccia con i sussurri del vento, accende il cielo tempestandolo di stelle, traccia impronte sulla neve che si sciolgono al primo sole del mattino.
Per iniziare ad allenarsi a una salutare pratica di Dadirri, ti suggerisco un esercizio che puoi ripetere e approfondire come e quanto vuoi.
Siediti con un gruppo di bambini su un prato. Delimita un’area di un metro quadrato intorno a voi e osserva con tutti i sensi all’erta e con occhi attenti (se vuoi, portati una lente di ingrandimento) i tanti fili d’erba, i semplici fiori di campo, gli insetti che via via riesci a identificare.
Fai caso al ritmo del tuo respiro e a quello di tutto ciò che ci circonda.
Puoi iniziare dal rumore che senti più lontano, avvicinandoti via via sempre di più fino a raggiungere proprio il suono che fa il tuo respiro.
E osserva come si combinano i suoni, se insieme concorrono a creare un’unica melodia e quale sia il ritmo finale.
Estendi l’esercizio ai bambini che sono lì con te.
Sono loro il nostro futuro: aiutiamoli a cogliere le bellezze della Natura. Impariamo a godere dei colori dell’alba e del tramonto, delle diverse sfumature dell’acqua di mare, della rugosità delle cortecce degli alberi, dello scricchiolare delle foglie di faggio in un pomeriggio d’autunno così come del respiro del vento, dell’ingegnosità dei nidi degli uccelli o del profumo dell’erba dopo un giorno di pioggia.
Aiutiamoli a saper vedere, e con loro torniamo a farlo anche noi.
E’ questo il senso profondo di dadirri, che spesso coglie chi pratica un’esperienza di bagno di foresta, specie se con continuità.
E’ una pratica di autoguarigione che passa per la capacità di sorprendersi e di sentirsi Uno con la bellezza del creato, prendendosi cura del proprio vuoto esistenziale in modo dolce, delicato, naturale, privo di effetti collaterali.
Un bagno di foresta non è trekking, non è escursionismo, non è una gita etnobotanica e neanche una scampagnata.
E’ un modo per tornare a parlare la lingua del Mondo, imparando a osservarlo con occhi sempre nuovi e grati, delicati e attenti, nutrendo le stesse qualità verso noi stessi, in un lento imparare a prenderci cura di noi e dei nostri bisogni.
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