Si è fatto buio in un baleno oggi: è da poco passato l’equinozio e già mi sembra che la notte si inghiotta il giorno. Un giorno denso, oggi, denso di parole, dichiarazioni, affermazioni, esclamazioni. Oggi, un giorno nel quale la comunicazione è stata al centro delle mie riflessioni, sollecitate dall’epic fail di Enel che nella sua campagna pubblicitaria esortava a stimolare uno storytelling attorno alla questione dei “guerrieri” con il lancio di uno spericolato hashtag che ha finito con il ritorcersi contro la compagnia. Leggerezza? Inesperienza? Superficiale conoscenza di un mezzo potente quanto delicato come quello dei social che, facendosi amplificatori della realtà, spesso si trasformano in armi a doppio taglio le cui variabili (sempre rigorosamente umane) in gioco sono talmente tante che si rischia grosso a usarle con leggerezza? Senz’altro convivono tutti questi aspetti in quanto è accaduto ma a colpirmi oggi è l’abbondanza di dichiarazioni col senno di poi, la sparatoria mediatica che si è accesa sui social: una sorta di tiro al bersaglio con parole accese, affermazioni argute, bella mostra di competenze, anzi, scusate, di know how. Devo dire che questo utilizzo del 2.0 non mi piace. Ho sempre parlato dei social come strumenti, di per sé abbastanza innocui, strettamente dipendenti dall’utilizzo che di essi se ne fa e oggi ne ho avuto conferma. Non amo il social in versione polemica fine a se stessa/tiro il sasso e nascondo la mano. Ritengo sia semplice deridere, dileggiare o ironizzare sugli errori di persone che non avranno mai modo di ribattere sulle questioni sollevate: una sorta di “ti piace vincere facile”, insomma, che probabilmente sortisce un effetto terapeutico nel tirar fuori frustrazioni o desiderio di apparire ma che personalmente non aggiunge valore. Ecco, è questo il punto. Io amo la comunicazione perché permette di condividere e scambiare valore, di accrescere e arricchire un punto di vista di molti altri sguardi ma tendo a chiudermi quando diventa arena di pubblica lapidazione. Nel chiudermi però non smetto di ascoltare e di osservare, anche perché credo che se si determinano queste situazioni in cui c’è la rincorsa alla frase più arguta e all’espressione di sdegno più palese, è segno che vive in noi questa esigenza che credo sia legata a una malcelata insicurezza di fondo. Penso cioè che se un numero sempre più alto di persone sente il bisogno di dire la sua facendosi notare il più possibile, forse questo accade anche perché nella nostra società mancano le occasioni nelle quali il nostro talento viene riconosciuto come merita. Viviamo in una società avara di gratificazioni, che tende a mutilare i nostri talenti più che a incoraggiarci a esprimerli. Vessati da ingiustizie di varia natura e titolo, conduciamo per lo più un’esistenza ai margini del nostro vero dono, inseriti in schemi che non ci somigliano, incasellati in burocratici sistemi di controllo e finisce che riversiamo la nostra rabbia e la nostra frustrazione alla prima occasione utile. A volte ascolto i social e vedo una superficie con tanti fori, o meglio strappi, dai quali escono in modo scomposto i fumi del nostro malessere, che approfittano di quello spazio finalmente libero, per uscire allo scoperto e farsi notare.
Al di là dell’epidermica difficoltà di immedesimazione, non giudico quanto accade: lo osservo, lo ascolto e, grazie alle potenzialità del 2.0, ne approfitto per provare a sentire il polso di una società che non manca di segnalare il suo malessere. Più che esprimere giudizi verso le persone che in queste ore si accaniscono contro Enel o la presunta omofobia di Barilla, preferisco cercare di capire da dove nasca questo bisogno e se ci sono margini per curarlo, portare sollievo, trovare risposte alle richieste di attenzione che si nascondono tra le righe dei post. E’ come se volessi aiutare questi guerrieri tristi che gridano il loro disagio in un twit a riscoprire il piacere di andare a caccia di valore.
Oggi ho incrociato questo post. Non conosco l’autrice né personalmente né su FB, Twitter e i mille Altrove dei quali disponiamo. Ciò premesso – che in un mondo incattivito non si sa mai – devo dire che mi ha fatto bene leggerlo per il suo fondamentale buon senso. Sembra un concetto così da poco, il buon senso. E invece ha un valore immenso. Perché alla fine, quel che disturba è la punta di cinismo, il fare branco, l’eleggersi Polizia Morale della Rete, quel che disturba.
Ci possono essere errori, campagne fuori tempo, fuori dal sentimento, scivoloni colossali. Le aziende lo sanno, le persone possono tenerne conto.
Lo scrivo come una di parte. Io, al progetto di storytelling in questione, ho partecipato. Ho scritto la mia storia, ho chiesto di votarla agli amici. Ho fatto tutto ciò fino al 24 settembre. A un certo punto, quel giorno, sembrava che chiunque avesse partecipato fosse un fake o, peggio ancora, la mano mercenaria di una multinazionale.
E la colpa, se di colpa si può parlare, non è certo di chi, trovando spazi oggettivi per portare avanti ragioni attraverso un hashtag “dirottato”, ha parlato di altro. Ci sta, lo sanno anche le aziende. Quel che mi ha colpito è stata la mattanza diffusa ordita da quanti, social media specialist o presunti tali, hanno preso in mano la prima arma per sparare su gente presumibilmente come loro. Le ho lette, quelle storie. In mezzo c’è chi, come me, l’ha fatta lieve, e chi al contrario ha rovesciato su una pagina un dolore intimo o chi ha cercato solo visibilità. Che male c’è? Che male fa?
Ecco, sterzare e prendere posizione, è un atto coraggioso e importante.
Non c’è alcun gusto ad essere in tanti a menare. Forse ci si sente meno soli e disperati, ma non cambia le cose.
Quindi, brava. Te l’ho già scritto su Twitter dove, nel frattempo, siamo follower l’una dell’altra. E son belle cose 😀
Leggere commenti come questo, non solo fa venir voglia di scrivere ma anche di continuare a credere nel (buon)senso, nella possibilità che la rete regali ancora spazi per l’incrocio virtuoso di pensieri e parole, di visioni e comune sentire che vadano al di là del pubblico urlare dichiarazioni ad effetto, frasi argute, manifestazioni di malcelato ed egoico senso di superiorità. Da sempre innamorata di questo potente mezzo di comunicazione, profondamente convinta che i social siano uno strumento di ascolto prima ancora che di espressione, mi gongolo nel leggere pensieri e parole di chi, come, te, ha il coraggio di schierarsi dalla parte della bellezza, del valore umano, della difesa dei deboli (ché a tirare il sasso e nascondere la mano son davvero bravi tutti). Ti seguirò (lo so, sembra una minaccia ma mi è uscita così) anche perché il tuo impegno somiglia molto al mio, a quello fino ad ora profuso in hotel e a quello che vorrò continuare a mettere nei progetti futuri. E si, non ci perdiamo di vista e certo che son cose belle. Grazie di cuore 🙂