
La Natura, dall’egiziano Nether che significa “divino”, da sempre affascina e nutre con il suo silenzio fatto di suggestioni, richiami ancestrali, simboli, segni e sogni.
Sempre alla Natura, in un mutuo e continuo processo di conoscenza che procedeva per similutudini tra l’interno e l’esterno, gli antichi si sono ispirati per comprendere l’origine dei propri mali e trovare rimedi, affinando capacità di ascolto e interpretazione dell’universo simbolico di cui è espressione.
Lo sapevano bene gli 88 popoli celtici che hanno adottato l’alfabeto runico per comunicare mediante dei segni, mutuati dalla loro esperienza diretta con l’ambiente, capaci di leggere e tradurre i significati della vita, a partire dalle suggestioni raccolte in Natura.
Del resto, la grandine arriva quando la Natura ha iniziato a risvegliarsi e a produrre fiori e frutti, distruggendo raccolti e mesi di sacrificio in un soffio
Questo è il tempo in cui gli automatismi, i pensieri autodistruttivi che abitano in noi e tutte le pulsioni reattive che ci tengono al largo dall’esplorare e dall’incarnare il nostro potenziale prendono il sopravvento.
La stagione della grandine, si manifesta prima con piccoli sussurri, minuscole vocine interiori volte a sabotare quanto di buono stavamo iniziando a coltivare nei nostri giorni, che diventano man mano più forti e insistenti fin tanto che non rovesciano l’ordine costituito, spesso in modo repentino ed eclatante, ossia facendo di una minuscola questione un affare di Stato che ingloba tutto il resto, oscurandoci la vista, tenendoci lontani dalla nostra intima e vera natura di Luce.
Essendo il tempo della grandine legato a un congelamento del cuore a causa di dolori, amarezze e frustrazioni che avevano finito con il far chiudere sempre di più la persona in se stessa, gli antichi cercavano attraverso il pianto una forma di “calore dell’anima” essendo le lacrime sempre collegate a un innalzamento della termia e contenendo esse stesse il sale che di per sé non permette che si formi il ghiaccio.
Pensavano cioè che una pianta che fosse stata in grado di far piangere, di far secernere degli umori, di sbloccare qualcosa di irrigidito e fermo, fosse in grado di salvare la vita, impedendo che si congelasse l’anima del paziente.
Le soluzioni, dal latino solvere, sciogliere, come abbiamo visto, sono sempre state cercate in Natura e la pianta che meglio risponde alla necessità di scaldare l’anima, di chi viva nei tempi di Hagalaz è il timo (Thymus vulgaris e Thymus serpyllum) che contiene un olio essenziale, il timolo, che svolge una importante azione termica e che è spesso usato contro i geloni e le malattie da raffreddamento in genere, assolvendo a una specifica funzione di scioglimento dei muchi e dei catarri.
Il modo di ragionare per similitudini, tipico degli antichi e che oggi ha trovato nelle analisi chimiche e di laboratorio importanti conferme, era piuttosto intuitivo.
I nostri antenati partivano dal presupposto che se una pianta alzava la temperatura corporea, scioglieva i muchi e scaldava le parti del corpo congelate, questa proprietà si sarebbe estesa anche a livello sottile, sciogliendo attaccamenti ed emozioni bloccate, stimolando la naturale omeostasi del nostro organismo.
Il timo soccorre tutte le persone che hanno la tendenza a percorrere e ripercorrere sempre gli stessi binari morti che conducono a un sempre uguale senso di frustrazione, tristezza e abbandono, riportando Vita e calore negli angoli infreddoliti della loro anima.
Questa preziosa erba aromatica, contiene dentro di sé le istruzioni che nel tempo la hanno aiutata a sviluppare adeguate strategie di sopravvivenza al gelo invernale.
Questo significa che. traducendo nelle sue linfe lo storico geologico del suo ritorno alla vita, il timo è in grado di stimolare nell’uomo la stessa risposta, scongelandone il cuore con il suo fuoco nascosto.
Ci dice inoltre che i periodi di inverno nel cuore si superano attraverso un attento (e umile) ascolto di sé che ci rende capaci di intercettare i bivii, le anse del sentiero lungo le quali ci perdiamo di vista e ci affidiamo ai pensieri automatici e autodistruttivi che impediscono la nostra evoluzione personale, bloccandoci, congelandoci (anche nel cuore).
Infine, sempre la Natura, ci ricorda che nello straordinario e variegato universo vegetale, troviamo risposte, strategie, tracce di percorsi evolutivi che si sono sedimentati nei secoli nelle linfe, nei corimbi, nei semi e nelle radici e che la guarigione passa (anche) attraverso un lento (re)imparare a interpretare il linguaggio di segni, sogni e miti che tutto circonda.