Io non scrivo.
Io non.
Non riesco. Ecco.
Mi si ferma tutto qua, alla bocca dello stomaco. Non passa un respiro lungo. Non.
Un peso di rimestamenti e umori, pigiature e scorticamenti che non esce, no. Anzi si infila e si insinua, si nasconde, si incunea, si accuccia, non ne vuol sentire di uscire fuori.
Fuori troppa luce, troppe strade, troppo sguaiare di vite. Troppo, per chi vive di piccoli passi, trascinando conchiglie di fiume a cavallo di rami, sotto corone di fiori di pesco, all’ombra dell’ultimo bacio. Meglio il riparo, il silenzio, il poco, la finitezza di un’isola nella quale i rumori arrivano lenti, storditi dalla distanza, distorti dai ricordi, appannati dal tempo.
Ecco perché non scrivo. Per non tradire quella creatura di luna e di pesca, quel fiore primigenio, quello splendore sepolto sotto al fetore degli anni, che non voglio dare in pasto ai cani, al latrare della gente sorda e cieca, che legge con la mannaia i tuoi silenzi.
Sono preziosi, i silenzi.
Il non detto dice, il non scritto scrive.
Sono in rivolta. Con il tanto, con il troppo, con la vanità e lo sgomitare. Mi sgomenta il cincischiare di presunte sintonie, così come detesto i riflettori e le arguzie vestite di furbizia stolta, effimera, cortigiana.
Andate voi, passate avanti, calpestatevi, strappatevi. Ma senza di me.
Io non scrivo. Non.
Non sono passati 20 minuti. Non.
Leggerti è aria buona per la mente.
Il mare che ti separa dalla terraferma è solo un crogiolo di astio, arrivismo e paure trasformate in spavalderia.
Grazie, benedico le nostre affinità ogni volta che approdo qui.
E io benedico te, la tua sensibilità, la tua capacità di Amore al di la’ dei rumori (tanti) e delle luci chiassose che si riempiono di fanfare. Il mio mare ti aspetta, silenzioso, liquido, accogliente. Per te ho approdi sicuri, forse silenzi e manciate di sogni. Ti aspetto. Sono isola.