Alzi la mano chi ha sentito parlare almeno una volta di coaching nell’ultimo anno.
Non dirmi che non l’hai alzata, non ci credo!
Qui è dove ti dico la mia su questa professione che alcuni intendono a rischio di inflazione e che io ritengo non lo sia, a patto che chi la interpreti non rinunci mai ad aggiungerci il proprio valore aggiunto ( il che, a ben pensarci, vale per tutte).
Partiamo da un dato di fatto: i nostri anni ballerini, la totale mancanza di punti di riferimento e si, dai, mettiamocelo il postmodernismo.
Non c’è ambito del nostro vivere che non sia toccato dal cambiamento ma la nostra mente fatica ad abitare l‘incertezza, ha bisogno di regole, le ricerca incessantemente e oppone una certa resistenza quando si tratta di vivere nella sospensione e nell’incertezza.
Quella del coach è una delle professioni chiamate in causa durante i guadi incerti della vita e sempre più spesso se ne sente parlare con applicazioni varie.
Fondamentalmente “l’allenatore” lavora nell’area “business” dello sviluppo delle risorse umane e in quella “life” delle relazioni.
In entrambi i casi direi che stimola alla conoscenza e all’acquisizione di nuove competenze e capacità attraverso l’esperienza, l’esercizio, la ripetizione delle buone pratiche.
E io come interpreto questo ruolo?
Tanto per cominciare posizionandomi a metà strada tra l’area business e quella life coaching. Questo perché credo che l’una richiami l’altra.
E il digital (coaching) che c’entra?
Imparare a comunicare il tuo brand in modo efficace comporta inevitabilmente un lavoro sui tuoi contenuti e suoi tuoi valori, capace di portare alla luce tesori che sei stata brava a tenere nascosti.
Ogni esperienza di coaching inizia avvalendosi di uno strumento fondamentale: un obiettivo.
L’obiettivo è per me il piolo della scala con cui scegli di andare verso il tuo stato desiderato, lo strumento pratico che ti fa uscire dalla confusione e ti fa prendere la direzione che vuoi seguire.
Imparare a parlare in pubblico, gestire l’ansia davanti al capo ufficio, imparare a gestire il proprio tempo e a lavorare secondo uno schema di priorità o ancora dare un esame che si è rimandato svariate volte sono alcuni degli obiettivi al cui raggiungimento mi è capitato di lavorare ultimamente ma non credere fossero chiari ed espliciti sin dalla prima seduta.
Anche per questo è utile rimanere focalizzati su quello che ci piace, su quello che vogliamo non tanto per dare seguito a una corrente di pensiero positivo, quanto perché le neuroscienze ci indicano la via.
Pensare e verbalizzare una cosa crea un precedente nelle nostra testa, un collegamento che prima non esisteva che, a furia di essere ripetuto nel tempo, puo’ diventare un solco, una abitudine.
Uno degli esercizi per me più interessanti che faccio fare spesso, è quello di consapevolezza linguistica.
Ti ascolti quando parli?
Quante doverizzazioni ci sono nelle tue frasi? Quanti non? Quante occasioni ti riconosci? Prova a pensarci, ora, qui: scrivi su un foglio quanti “devo” dici al giorno e prova a sostituirli sistematicamente con “posso” o “voglio” o “potrei” e ascolta cosa succede dentro di te.
Imparare ad ascoltarsi, familiarizzare con il proprio modo di costruire frasi e quindi pezzi di mondo, ha molto da insegnarci circa il nostro “dove siamo” e ci aiuta a capire “dove vogliamo andare”.
Molti mi obiettano che in realtà nella loro testa è tutto chiaro, che semplicemente le parole non escono come dovrebbero ma che questo non cambia la loro chiarezza interiore. Questo è vero a metà, nel senso che in questo ragionamento manca la parte fondamentale di ogni comunicazione: il ricevente.
Vale la pena ricordare che qualsiasi processo comunicativo si svolge tra un emittente e un ricevente e che nel corso dell’interazione questi ruoli vengono più volte scambiati. Cosa succede se, come nel caso che indicavo prima, l’emittente ha le idee chiare ma le esprime in modo confuso o distorto rispetto al suo sentire? Lascio a te lo spazio per la risposta.
La consapevolezza linguistica è una prima importante base gettata in direzione della persona che scegliamo di essere, considerato che le parole costruiscono il mondo in cui viviamo e l’universo di emozioni ad esso correlato.
Imparare a scegliere le parole è un esercizio di chiarezza per se stessi e per le persone con cui entriamo in relazione e aiuta a costruire obiettivi chiari, specifici e realistici e a muovere un primo passo fuori dalla confusione.
La confusione è di per sè un buon segnale quando si inizia un percorso di coaching: significa che qualcosa si sta muovendo, che stiamo mettendo in discussione orientamenti abituali e che percepiamo un cambiamento dentro di noi.
Quello che ti invito a fare durante le sedute di coaching è costruire una scala a pioli (gli obiettivi specifici) per raggiungere la vetta sperata (lo stato desiderato) avvalendoti di una energia che ti farà muovere i passi: la motivazione.
Lo stato desiderato è per me la vetta del percorso, che non è del tutto sotto il nostro controllo.
Ma di questo parliamo nel prossimo post 🙂
Hai mai fatto una esperienza di coaching? Ti è stato facile arrivare a un obiettivo specifico? Come è cambiato il tuo rapporto con il tuo linguaggio?
Se ti va di condividere la tua esperienza, lascia un tuo commento: insieme il racconto si fa più vivace e vero.