
Quando si parla di “bagno di foresta” si tende secondo me ad enfatizzare l’aspetto della relazione e della connessione con il bosco dal punto di vista dei suoni e delle emozioni che l’attraversare un paesaggio naturale scatena.
Mediamente a mio avviso si dimentica di dar ragione dell’origine stessa del nome, che prende ispirazione in larga parte dal fatto che entrando in un bosco si è letteralmente immersi in un mondo invisibile, ma per questo non meno importante, di informazioni e e risorse dal grande valore terapeutico.
Sto parlando del ricco universo di biodiversità disperso nell’aria sotto forma di polline, batteri, spore di funghi, licheni, micelio, e via dicendo studiato dall’aerobiologia, scienza multidisciplinare che sta rapidamente diffondendosi.
La presenza della ricchissima e varia biomateria in natura, è alla base di quella che è stata chiamata l’ipotesi igiene o teoria dello svuotamento del bioma.
Si tratta di una teoria nata alla fine degli anni ’80 (più o meno in contemporanea con la nascita delle prime pratiche di shinrin-yoku) dall’epidemiologo britannico David Strachan che ha individuato nella diminuita opportunità in età precoce di entrare in contatto con agenti patogeni, il crescente diffondersi di allergie.
L’uomo in sostanza vivrebbe in ambienti resi asettici che ne inibirebbero il normale sviluppo immunitario e lo renderebbero più esposto a malattie respiratorie.
Da questo punto di vista, il camminare in natura si arricchisce di un ulteriore e importante significato, collegato alla presenza, tra gli altri, dei monoterpeni (olii essenziali nel legno che vengono emessi in forma volatile) e ioni negativi che rinvigoriscono il sistema immunitario e hanno un effetto rilassante sul nostro sistema nervoso.
Sappiamo che la corteccia degli alberi, le foglie, gli aghi, gli steli brulicano di diversità microbica così come i terreni della foresta tutta e che, ricerche alla mano, questa ricchezza di biodiversità si è dimostrata utile alleata nella cura e prevenzione delle così dette malattie non trasmissibili (quali diabete, tumore, affezioni polmonari, malattie croniche, infarti).
In pratica si evidenzia che la relazione con la natura ha una influenza diretta sul buon funzionamento del nostro microbiota.
Di che si tratta? Dell’insieme dei microrganismi contenuti nell’intestino umano, capaci di sintetizzare per noi vitamine e altre sostanze che aiutano il nostro organismo a svolgere le proprie funzioni quotidiane, come ostacolare l’attacco di potenziali patogeni e allergeni o supportare la peristalsi intestinale.
Il fatto sorprendente è che questa enorme quantità di batteri non lavora da sola ma è in continua comunicazione con le nostre cellule, in modo da agire proprio a seconda di quello che succede nel nostro organismo.
Data per assodata la relazione tra stress e microbiota, è semplice supporre che una riduzione dello stress (che l’andare in Natura senza dubbio promuove) possa mitigare la nostra disbiosi.
Ecco che, sguardo clinico alla mano, l’andare in Natura ci permette di ristabilire non solo un contatto vivificante, un senso di relazione e e di appartenenza capace di lavorare a più livelli su senso di frammentazione, perdita di significato esistenziale e di scopo nella vita (che sono alla base degli stati depressivi) ma restituisce anche complessità e vigore alla “stabilità anomala” della nostra microflora, che abbiamo ottenuto a suon di igienizzazioni sfrenate.
Tornare in natura, praticare bagni di foresta ed esperienze di eco-mindfulness, stabilire un contatto primigenio con la Natura capace di dare risposta all nostra innata biofilia ma in grado anche di ristabilire pressione sanguigna, buona frequenza cardiaca, rinvigorimento dei linfociti NK oltre che una ritrovata qualità del sonno, è un processo che come si intuisce è articolato e coinvolge diversi livelli di benessere.
Un benessere psicologico, fisiologico, sociale, ecologico e certamente anche spirituale che si inserisce a pieno titolo in una visione della vita, delle relazioni, del ritrovare il nostro posto nella natura, capace di restituire complessità e profondità di lettura.
Se, come dicevo poco tempo fa, abbiamo fame di senso, questo lo si recupera su più livelli, mettendo in rete saperi ed esperienze, leggendo la Natura da diverse prospettive capaci di reintegrarci e restituire spessore, complessità e profondità alle nostre vite, troppo speso anestetizzate, sterilizzate e svuotate (di senso).