Non scrivo da un bel po’.
Non racconto alcun che da settimane e mesi.
Sigillata.
La mia bocca è sigillata e i polpastrelli non rispondono ai comandi verbali della mia testa: mi sento prosciugata.
Niente da fare: rimugino e penso e son qui che mi chiedo se è il digital coaching l’esatta via da imboccare professionalmente parlando o se questa è una fase di naturale passaggio che mi sta rapidamente traghettando verso nuovi lidi, fatti di crescita personale attraverso la scrittura, il camminare lento in natura, il ricercare un equilibrio uomo terra che abbiamo allontanato da noi stessi.
Ci siamo via via inerpicati sempre più e sempre meglio nei meandri del mentale, dimenticando di avere un corpo e un relativo attaccamento alla Terra, all’ambiente naturale che ci ospita e che ci nutre.
Io non sono da meno: negli anni sono stata brava a costruire torri d’avorio di parole e pensieri in grado di mantenermi saldamente vigile nel comparto destro del mio mondo, quello che molti definiscono il “maschile” o anche il “logico analitico”.
Già, il maschile…
Definizioni a parte, la sensazione che avverto io è un surriscaldamento graduale ma incessante della mia pancia, della mia parte molle, femminile, legata al sentire del corpo e delle emozioni (la parte sinistra quindi, n.d.r.).
Lo definirei quasi un disgelo, al quale assisto tra l’imbarazzato e il divertito.
Mi diverte, a piccole dosi, perdere il controllo e al contempo mi imbarazza perché una mente che negli anni ha scavato un profondo solco nel terreno del tenere a bada e del gestire al millimetro, fa fatica a lasciare la presa e a concedersi di poter essere anche goffa talvolta (perchè non è mica facile ristabilire un contatto con un corpo addormentano, un po’ come reimparare a camminare: sulle prime si cade come da bambini).
Complice questo stato di cose, da qualche settimana mi interrogo in modo approfondito sul senso del mio fare e, si, lo ammetto, trovo sempre meno piacere nello scrivere e soprattutto nel condividere.
Forse perché è una nuova fase per me.
Trascorsi gli anni in cui il comunicare all’esterno è stato quel filo rosso capace di tenermi in vita emotivamente e di darmi le energie per affrontare profondi cambiamenti personali, senza perdere del tutto il contatto con la realtà, oggi mi viene naturale pensare al senso di utilità che questa pratica potrebbe e dovrebbe avere per gli altri.
Come dire, passata l’emergenza, mi chiedo a chi interessa ciò che scrivo, che utilità abbia per gli altri, come e quanto le mie righe possano aggiungere significato nei giorni di chi incrocio.
No, non si tratta di un rinnegare ciò che è stato: del resto non è un mistero che quasi dieci anni fa io fui catapultata nel fantastico mondo di Facebook da espresse richieste dei miei clienti che desideravano rimanere in contatto con l’hotel (perché io facevo molte resistenze, ah se le facevo!) e non nego siano stati anni bellissimi.
In un click ci si sentiva vicini, parte di una storia che non si interrompeva con un check out e si sono potute realizzare cose, con il contributo e la buona energia di moltissime persone.
Quindi sia chiaro che son qui a dire grazie a questo mondo che certamente va preso in considerazione e conosciuto ma che, non mi stanco di dirlo, non dovremmo mai dimenticarci di personalizzare, facendo cioè un utilizzo eventuale dei social se e solo se riteniamo sia sensato, cercando la nostra voce.
Personalmente ricerco la mia voce in una visione del mondo, in un’idea di comunicazione germinativa e graduale, fatta di semi e di piccoli gesti, che mi riavvicini al senso delle cose, del vivere quotidiano e del ricercare un contatto autentico con la Natura e la Terra.
In questa ricerca, l’Isola d’Elba (Livorno) riveste per me un ruolo di elezione, probabilmente perchè l’isola e la sua natura generosa amplificano la relazione uomo/terra e ne facilitano il riavvicinamento.
Da ieri so di non essere la sola a fare un percorso di ricerca personale di questo tipo all’Elba, grazie al fortuito incontro con Stefania, cuoca vegan sopraffina, e la coppia Magda e Hermann che da quasi 10 anni porta avanti un bellissimo progetto di crescita dell’umano, trovando la via per nuovi impulsi sociali all’Isola d’Elba.
Hermann e Magda coltivano a Lacona, nel bellissimo podere “La Sugheraccia”, piante officinali e promuovono attività didattiche agricole e artistiche incontri di ricerca sulla medicina e le terapie complementari.
L’insieme delle inziative segue i principi e i valori promossi dalla Fondazione Widar e si rifà ai principi della società antroposofica steineriana.
Nel mese di Luglio organizzano tre seminari esperienziali per adutli, famiglie e insegnanti, nei quali si propongono di sperimentare il luogo e la natura dell’isola, l’esercizio artistico e alcune esperienze ritmico musicali.
Le proposte sono aperte a chiunque desideri fare un’esperienza d’Isola d’Elba differente, a passo lento e a stretto contatto con la Natura e le coltivazioni bio dinamiche di rosmarino, salvia amara, scilla marittima, mirto, madragora, limone e pompelmi.
Il nostro incontro è avvenuto al Podere, in uno dei tanti luoghi di assoluta magia che l’Elba, a distanza di tanti anni, riesce ancora a farmi scoprire con grande sorpresa.
Cespugli di lantana, muretti a secco, orti di essenze aromatiche e quell’aria un po’ lattiginosa di quando il vento solleva la terra e la mescola al salino, mi hanno accolta insieme a un buon bicchiere di tè matcha.
A volte, confesso, mi viene da stropicciarmi gli occhi; mica ci credo che ancora l’isola riesca a sorprendermi così tanto!
Prima di andare via, Hermann mi ha salutata con il suo sguardo limpido e i grandi occhi blu, susurrandomi che è nostro dovere tornare a dare valore alla Terra, all’Uomo e al suo lavoro e che anche per questo lo scorso giungo ha ospitato gruppi di ragazzi che lo hanno aiutato a girare i composti maturi e a crearne di nuovi, potare i cespugli, costruire scale con sassi a secco, curare le pecore di Sara, aiutare nei lavori agricoli Orti di mare e pulire gli ulivi.
Tornare a dare valore all’Uomo: con questa frase masticata più volte a fior di labbra, sono ripartita verso casa, infastidita perchè non ero riusicta a dirgli niente.
Mi ero bevuta le sue parole e i suoi occhi blu in religioso silenzio, sentendo scorrere fin nella punta dei miei capelli il senso di urgenza di quel messaggio che somiglia tanto a quello che anche io coltivo con il mio fare.
Avevo la testa che mi ronzava lungo la via del ritorno e un sottile piacere di scrivere si è riaffacciato prepotente alla punta dei miei polpastrelli.
Finalmente non stavo pensando a promuovere un mio laboratorio, non dicevo la mia su comunicazione e digitale (arrivando esima sul tema: ogni giorno spunta un nuovo digital qualcosa che ne scrive e si dimena per convincerci della bontà della sua tesi invitandoci caldamente a commentare sul post del suo blog…).
Finalmente uscivo dalla logica autoreferenziale del raccontarsi, per raccontarci.
Ecco cosa fa per me la differenza e cosa significa per me davvero personal branding: uscire dal sé per trovare un territorio comune, un noi, temi e racconti che ci uniscano, che ci accomunino, che ci facciano avere il desiderio di camminare insieme.