
Tutto ciò che non era nostro è caduto, ora dobbiamo vivere.
Così inizia una poesia di Franco Arminio, cui mi sono ispirata durante il cerchio di pratica meditativa di ieri.
Un cerchio dedicato al silenzio, all’ascolto, al familiarizzare con quello che c’è, in un momento che ha stravolto le nostre vite da un giorno all’altro, mettendoci di fronte alle incongruenze, alle storture, alle fragilità e alle menzogne di un vivere scollegati, concitati, ammassati e anestetizzati.
E così, dopo lo stravolgimento e lo sgomento, l’incredulità e il dolore nell’ascoltare notiziari che somigliano a bollettini di guerra, si crea un vuoto, un silenzio appunto, un invito (gridato) a farsi capanna e rifugio nel cuore, a scendere nelle profondità mai esplorate di una interiorità che reclama il suo spazio e la sua espressione.
C’è del sacro in questo tempo che ci viene regalato all’improvviso, quasi a darci un’insperata possibilità di recuperare tutto quello che, negli anni, abbiamo sperperato, maltrattato.
Tempo per tornare ad abitare la nostra vita come abitiamo il respiro, nel corpo, meditando.
Tempo per accorgerci ed accoglierci, per stabilire almeno una tregua dove si è sempre consumata una lotta, prendendosi cura di sé.
Tempo per osservare cosa stiamo facendo della nostra vita, per imparare a riconoscere come ci relazioniamo a noi stessi e che tipo di persone e relazioni stiamo facendo entrare nei nostri giorni.
Fateci caso, se il tema su cui siamo invitati a lavorare è la rabbia, facilmente faremo avvicinare nella nostra vita persone che ci fanno arrabbiare.
Se non abbiamo fiducia in noi stessi, facilmente attrarremo persone che ci mortificano e spesso tutto questo non solo accade senza che ce ne accorgiamo ma anche senza che abbiamo l’abitudine di fermarci a osservarne le dinamiche perché ci raccontiamo che siamo sempre senza tempo.
Adesso che abbiamo molto tempo, un buon modo per impiegarlo potrebbe essere quello di passare in rassegna le nostre relazioni e cercare di comprendere che tipo di segnale stiamo trasmettendo più o meno coscientemente e, nel caso, riarmonizzarlo, lavorare a una “risintonizzazione” con l’energia della gioia, dell’amore, della pace interiore.
Questo gesto è un modo per prenderci cura di noi stessi e di chi amiamo, tornando ad abitare la nostra autenticità.
Quando ci relazioniamo nel modo giusto con noi stessi, è molto più semplice farlo anche con gli altri, perché quando si celebra il ritorno della propria vitalità e della propria essenza originale, tornano anche la luce e il desiderio di vero amore e vera gioia condivisi.
Non è diverso in un giardino: quando iniziamo a prenderci cura delle sue piante, notiamo nel tempo che insetti e farfalle tornano a fargli visita in modo del tutto spontaneo e commovente.
In entrambi i casi si parla la lingua della cura, della delicatezza ma anche della determinazione e dell’impegno e di risultati che riattivano relazioni, scambi, incontri, movimenti di vita.
La mente, come il cuore, somiglia a un giardino che ha bisogno di cure, attenzione, dedizione e impegno perché possiamo imparare a coltivarne i frutti.
Io credo che questo momento sia prezioso.
Lo è perché nel restituirci tempo è come se ci restituisse in parte il torto che abbiamo fatto a noi stessi maltrattandoci, svilendoci, coltivando sfiducia in noi stessi e nelle nostre capacità, relegandoci sempre all’ultima delle priorità quotidiane, trascurandoci nel profondo.
Questo improvviso grande, enorme dono, ci propone di portare equilibrio dove regnava lo squilibrio, di riarmonizzare lo sguardo e di fare spazio alla tenerezza, alla cura, al piccolo gesto di attenzione.
Si tratta di imparare ad abbracciare profondamente noi stessi, prima di tornare a farlo con gli altri.
Con amore.