
Un modo alternativo alla pratica meditativa, per rimanere presenti in momenti così difficili e dolorosi come quelli che stiamo vivendo, è quello di farsi domande di senso rispetto alla propria vita, valori e modi con cui fino ad oggi abbiamo scelto (o lasciato che altri scegliessero) di incarnarli.
Chiedersi se abbiamo amato a sufficienza, se abbiamo portato doni alla Terra che ci ospita, se ci siamo curati delle persone che ci circondano, adesso, più che mai, ha senso.
Alla fine della storia, credo che il tema sia se e quanto abbiamo risvegliato la nostra bontà disoccupata, se siamo riusciti o meno a liberarla dalle catene della paura, della mancanza di fiducia personale, del biasimo che siamo bravi a provare per noi stessi.
Momenti epocali come quello che stiamo vivendo, hanno il grande pregio di annullare in un solo istante il chiacchiericcio mentale che sempre ci affolla di pensieri, rendendoci pressoché impossibile “esserci” completamente nel momento presente e di farci vedere per un attimo le cose come realmente sono.
E le cose spesso, in realtà, sono confuse, figlie di convinzioni e proiezioni e senz’altro meno nette e definite come la nostra mente ama ripeterci perché si aggrappa a “cose”, a false certezze pur di non sostare nel vuoto.
Ebbene, il vuoto esiste, lo stiamo sperimentando in un quotidiano che è saltato per aria in questi giorni e la qualità del nostro vivere passa da come lo viviamo (non da come lo “riempiamo”, attenzione).
Il vuoto è ciò che apre a qualcosa di completamente nuovo, che mette un punto e fa andare a capo o a cuore, decidilo tu.
Il vuoto ci permette di sperimentare, di esplorare, perché no, anche la nostra bontà disoccupata, intrappolata in un quotidiano incalzante e diffidente, e di offrirla, di metterla in circolo, di comprendere a un livello più profondo che alla fine, ciò che conta davvero, è come abbiamo speso il nostro tempo, quanta autenticità abbiamo lasciato che scorresse nei nostri gesti, quanto ci siamo sentiti toccati, nel profondo, l’un l’altro.
E’ che per farlo, per sentirsi toccati e toccare l’altro in profondità, bisogna imparare ad aprire i nostri porti dell’anima e condurre l’altro nel fiordo della nostra paura, dove tutto si gela ma anche dove tutto può rifiorire.
Incontrarsi e mettere in circolo la nostra bontà disoccupata, significa prima di tutto entrare dentro noi stessi, dentro i fiordi che si infilano nella carne e che nel tempo hanno creato dolorose convivenze di ostilità, paura, autobiasimo, vergogna.
Entrare nei nostri porti per imparare a farci navi che si aprono ai venti dell’incontro, sui mari della nostra intima e profonda umanità, significa tornare a essere parenti, in senso ancora più stretto di quello carnale.
Significa riconoscere a noi stessi e a tutto il creato una parentela d’anima, una connessione profonda che tutto muovo e tutti riguarda, nessuno escluso.
Non ci sono differenze di status, cultura, religione o razza che tengano, in una storia che racconta e svela la più intima e persistente delle verità negate: che il dolore esiste, la morte esiste, tutto è destinato a sfiorire e a rifiorire, come natura insegna.
Abbiamo un unico, straordinario compito: accettarlo nel profondo, accettare la natura stessa della nostra esistenza precaria e sofferente, imparando a dare una qualità del tutto nuova e trasformativa ai nostri giorni.
Dovremmo smetterla di ostinarci a negare l’evidenza, di costiparci di oggetti e relazioni, per fare la nostra parte in questo gioco nel modo più onesto possibile.
Un gioco che si è improvvisamente fermato, mostrandoci la precarietà e la contraddittorietà del nostro vivere, che si affanna a dissimulare, nascondere negare mentre la Natura si riprende i suoi spazi e l’aria torna a profumare di primavera.
C’è risurrezione sotto le ceneri di una sconfitta grande, che ci riguarda tutti, e passa dalla nostra capacità di amare, di dare, di risvegliare una generosità rimasta intrappolata dall’individualismo di un finto benessere economico che ci ha totalmente sconnessi dalla nostra intima natura.
Risvegliamola la natura, mentre fuori fiorisce il pero e le api bottinano il rosmarino in fiore.
E’ questo che la natura ci sta chiedendo di fare, di tornare a lei, a noi, con rispetto, umiltà, misura, rivedendo priorità e necessità, abbassando i volumi, passo dopo passo.
C’era in noi una bontà disoccupata che aspettava la sua ora: è arrivata la sua ora.